Curioso Paese l’Italia; nel corso dell’anno molti celebrano e festeggiano, in pompa magna, avvenimenti e ricorrenze del tutto inesistenti, o al limite completamente travisati nel loro significato. A gennaio si celebra con solennità un olocausto mai avvenuto, ad aprile un “liberazione” altrettanto falsa (se mai si potrebbe parlare di invasione straniera, e dato che siamo il Paese di Pulcinella, siamo anche gli unici a festeggiare con ridicole parate una sconfitta militare con relativa invasione di eserciti stranieri), qua e là nel corso dell’anni si celebrano con relativa lacrimuccia decine di “stragi” nazifasciste inesistenti, in quanto (seppure truculente), non furono altro che legittime rappresaglie di guerra, previste dal Diritto Internazionale, e provocate dalla barbarie partigiana che le sollecitava per trascinare dalla propria parte una popolazione che nulla voleva avere a che fare con i banditi che prendevano ordini da Stalin con il tramite di Togliatti.
In questo clima ridicolo, poteva mancare la celebrazione di una Repubblica nata grazie ad un referendum palesemente truccato, e ad un vero e propio bagno di sangue seguito a quello stesso referendum?

A beneficio dei tanti trogloditi che credono a tutte le favole di regime, copio a seguire un articolo documentato ed esaustivo sulla questione del referendum del 2 giugno 1946, che si può vedere a questo indirizzo:
https://giuseppemerlino.wordpress.com/2011/06/02/referendum-2-giugno-1946-aveva-vinto-la-monarchia/
Nella giornata del 2 e nella mattinata del 3 giugno 1946 si tenne in Italia il Referendum per scegliere la forma istituzionale dello Stato, cioè tra Repubblica e Monarchia. Il Referendum fu a suffragio universale e, per la prima volta in Italia, votarono anche le donne.
Furono esclusi dal voto i cittadini della Venezia Giulia, della Dalmazia, dell’Alto Adige e della Libia (allora ancora italiana). Si disse che questi italiani avrebbero votato in seguito (sic), ma non se ne fece più niente.
Per assicurare l’ordine durante il Referendum fu costituita una polizia speciale formata da ex-partigiani.
Il 4 giugno i carabinieri, a metà spoglio, comunicano a Pio XII° (chissà perchè solo a lui) che la Monarchia si avviava a vincere.
Nella mattinata del 5 giugno, De Gasperi annuncia al Re Umberto II° che la Monarchia aveva vinto.
Dopo che i rapporti dell’Arma dei Carabinieri, presente in tutti i seggi, segnalarono al Ministro degli Interni Romita la vittoria della Monarchia, iniziarono una serie di oscure manovre ancora non del tutto chiare: nella notte tra il 5 ed il 6 giugno i risultati si capovolsero in favore della Repubblica con l’immissione di una valanga di voti di dubbia provenienza.
Accurati studi statistici hanno dimostrato che in quell’epoca non potevano esserci tanti votanti quanti ne sono stati conteggiati nei dati ufficiali del Ministero dell’Interno, dunque i voti giunti al ministero dell’Interno all’ultimo momento, che avevano dato la vittoria alla repubblica, erano scaturiti dal nulla.
Furono immediatamente presentati migliaia di ricorsi, ma con un arrogante sopruso non furono mai presi in considerazione.
In quelle due notti si svolse anche una vera e propria guerra tra i servizi segreti americani favorevoli alla Repubblica e quelli inglesi favorevoli alla Monarchia.
Il 10 giugno la Corte di Cassazione diede in via ufficiosa la notizia della vittoria della Repubblica affermando che avrebbe fatto la proclamazione ufficiale con i dati definitivi il 18 giugno. Ciò però non avvenne per cui la Repubblica, in effetti, non è mai stata proclamata!
Negli stessi giorni le truppe comuniste del maresciallo Tito (Yugoslavia) erano pronte al confine italiano per intervenire qualora fosse stata proclamata la vittoria della Monarchia.
Dopo la proclamazione ufficiosa della vittoria della Repubblica, furono scoperti nei luoghi più disparati, migliaia di pacchi di schede non scrutinate che furono prontamente distrutti.
A quel punto, il governo, proclamò in fretta e furia la vittoria della Repubblica e nominò Alcide De Gasperi (monarchico!) capo provvisorio dello stato.
Immediatamente scoppiarono rivolte in molte città italiane contro i brogli del Referendum. Particolarmente gravi furono i disordini a Napoli dove il 9, 10 ed 11 giugno la polizia speciale di cui abbiamo parlato prima impiegò autoblindo e carriarmati contro la folla inerme uccidendo 9 persone e ferendone centinaia.
A questo punto il Re Umberto II°, per evitare una guerra civile, parte per l’esilio, dopo aver diffuso un proclama in cui contesta la violazione della legge ed il comportamento rivoluzionario dei suoi ministri, che non hanno atteso il responso definitivo della Cassazione.
Ho scritto questa breve nota sopratutto per i più giovani che vengono tenuti regolarmente all’oscuro di questi fatti.

Non c’è che dire, una bella partenza per la tanto celebrata “repubblica democratica” che doveva mettere fine alle “violenze” Fasciste!
Ma non basta… Da altro pregevole articolo, che potrete visionare a questo indirizzo:
una dettagliata descrizione della barbarie dei nuovi sbirri figli di questa repubblica, ovviamente ex partigiani e macellai abituati a trucidare persone innocenti senza farsi troppi problemi:
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La situazione era particolarmente critica a Napoli. La città aveva votato per più dell’80%, in favore della Monarchia. Per controllare la situazione napoletana il governo, nella persona del ministro dell’Interno, il socialista Giuseppe Romita, non aveva trovato niente di meglio che militarizzare la città, facendovi affluire numerosi reparti di polizia ausiliaria. Questi reparti, alle dirette dipendenze dello stesso ministro, erano formati per la maggior parte da ex partigiani comunisti del nord. Da qui l’appellativo di “guardie rosse di Romita”. Usarono sempre con la mano pesante nei confronti della popolazione, considerata alla stregua di un nemico ideologico (…) Il sangue a Napoli ricominciò a scorrere la sera del 6 giugno 1946, quando uno sconosciuto lanciò una bomba a mano, vicino la chiesa di Sant’Antonio a Capodimonte, contro un numeroso gruppo di giovani, reduci da una dimostrazione monarchica. Sono ferite otto persone. Una, Ciro Martino, morirà agli Incurabili (…) Quella stessa notte, al numero 311 di Corso Umberto I si costituisce il Movimento Monarchico del Mezzogiorno (uno dei nuclei fondatori del futuro Partito Nazionale Monarchico) e si adotta il simbolo di “Stella e Corona”. La mattina del 7 giugno, a Napoli si diffonde la notizia dell’arrivo d’Umberto. Il Re ha deciso di battersi per il suo buon diritto e ha scelto la città come suo quartiere generale. E’ un’esplosione di gioia popolare. Tutti i monarchici napoletani sono in piazza. Bisogna accogliere degnamente il Sovrano. Si forma un imponente corteo che, accompagnato dalle note solenni della “Marcia Reale” suonata da un’improvvisata banda musicale o da alti inni della Patria, avanza lungo il Rettifilo, diretto Palazzo Reale o a San Giacomo, ove si pensa che sia il Re. Si ricongiunge con il grosso concentramento degli universitari, in attesa presso la Federico II. A Piazza Nicola Amore c’è un largo, impenetrabile sbarramento di camionette degli “ausiliari di Romita”. Alla testa del corteo, che nel frattempo si è fermato dubbioso, un giovane scugnizzo di 14 anni, Carlo Russo, completamente avvolto in un grande tricolore con lo stemma sabaudo. E’armato solo di quella bandiera. E’ deciso a passare, nonostante i celerini. Avanza deciso. I mitra degli ausiliari sparano ad altezza d’uomo. Si contano molti feriti. Uno dei primi a cadere è Carlo Russo. Con la fronte squarciata, s’abbatte avvolto nel tricolore, diventato ora il suo sudario. Solo il deciso intervento dei Reali Carabinieri permetterà poi agli ausiliari di sfuggire al linciaggio della folla inferocita. Carlo Russo morirà, dopo un’atroce agonia, due giorni dopo.

L’8 giugno muore lo studente Gaetano D’Alessandro, di 16 anni. Il ragazzo stava tornando a casa dopo una manifestazione monarchica di protesta per le violenze del giorno prima. Aveva alle spalle un grande tricolore con lo stemma sabaudo. Nei pressi di Piazza dei Vergini, è fermato da una camionetta piena d’ausiliari. Gli intimano provocatoriamente di consegnare la bandiera. Il ragazzo sfugge ai poliziotti e si arrampica sul cancello di una vicina chiesa, sventolando la bandiera e gridando a squarciagola: “Viva il Re!” Alle grida accorre numerosa la popolazione, che subito circonda minacciosa la camionetta. I celerini devono abbandonare, scornati, il campo sotto un subisso di fischi e pernacchie provenienti da una schiera di giovanissimi scugnizzi. Un celerino, rabbioso, però vuole vendicarsi. Con fredda determinazione, con una raffica di mitra uccide il ragazzo ancora aggrappato al cancello. Nel cadere, il suo corpo si avvolge in quel tricolore che ha difeso a con la vita. Ora anch’egli ha una bandiera per sudario (…)
L’11 giugno è una giornata di passione e di sangue. Al balcone della Federazione del PCI di Via Medina, accanto alla consueta bandiera rossa con falce e martello, è esposta una strana bandiera tricolore. Si vede l’effigie di una testa di donna turrita nel campo bianco al posto del tradizionale stemma sabaudo. Per Napoli, che ha votato per l’80% Monarchia, è una vera e propria provocazione. Fulminea si sparge la notizia per la città. A migliaia, spontaneamente, si dirigono a Via Medina. La stragrande maggioranza è composta di giovani e giovanissimi. In molti hanno partecipato con coraggio nel 1943 alle cosiddette “quattro giornate “contro l’occupazione tedesca. Qualcuno ha le stesse armi di allora: pietre, solo pietre. L’obiettivo è: strappare e distrugge quel vergognoso vessillo, poi si tornerà festeggiando a casa. Dall’altra parte c’è qualcuno però che ha deciso di farla finita una volta per sempre e di soffocare nel sangue le proteste popolari. In Via Medina ora, oltre le camionette, vi sono decine di blindati e celerini in assetto di guerra. La sede comunista è difesa da numerosi militanti armati. I primi gruppi di dimostranti appena arrivati, rovesciano i tram per rendere difficoltosi i micidiali caroselli degli automezzi della Celere. Seguono salve di fischi, urla, insulti all’indirizzo della bandiera esposta. Poi un giovane marinaio di leva, Mario Fioretti, aggrappandosi ai tubi e alle sporgenze inizia a scalare il palazzo della federazione per arrivare al 2° piano e asportare quella bandiera. In minuto è quasi giunto al drappo conteso. Basterà allungare la mano, impadronirsene e tutto sarà finito. Da una finestra della federazione comunista però spunta un braccio armato di pistola, che a bruciapelo spara sul giovane marinaio. Mario Fioretti stramazza cadavere sul selciato, mentre dai presenti si levano urla d’orrore e di rabbia. Altri giovani, per nulla spaventati dalla morte del loro coetaneo, cominciano anch’essi la scalata verso quel balcone. Un gruppo di dimostranti duramente contrastato da un gruppo di celerini, cerca di guadagnare le scale per salire al piano superiore. Tra poco i dimostranti avranno la meglio, ma dalla caserma di polizia, posta quasi di fronte al palazzo assediato, s’incomincia a sparare contro i nemici che sono quasi arrivati alla bandiera. Sparano per uccidere. Cadono uno dopo l’altro e si sfracellano a terra: Guido Bennati, Michele Pappalardo, Felice Chirico. Michele Pappalardo doveva sposarsi l’indomani e invece della fidanzata è andato a sposarsi con la morte. Aveva detto alla madre: “Mammà piglio ‘a bandiera e po’ torno…’ Una bandiera tricolore con lo scudo sabaudo diventa il suo sudario. A Via Medina scoppia l’inferno. I feriti si contano a decine. Muore in un lago di sangue, sempre colpito da pallottole, l’operaio monarchico Francesco D’Azzo. Le autoblindate della Celere hanno avuto finalmente ragione delle rudimentali barricate, alzate dai monarchici, e stanno per avventarsi con i loro terribili caroselli sui dimostranti, quando la studentessa Ida Cavalieri fa barriera col proprio corpo inerme nel disperato tentativo di fermarne la corsa. L’ordine è disperdere la folla, costi quel che costi. A Napoli, quel giorno, la vita umana non vale niente. Così Ida Cavalieri è stritolata dagli automezzi repubblicani. Non accade il miracolo di Piazza Tienanmen, a Pechino. Un appartenente alla Regia Marina, Vincenzo Guida cerca di organizzare la resistenza, innalzando una grande bandiera sabauda su di un palo. E’ colpito mortalmente alla nuca da un colpo di un moschetto, sparato da un celerino. Quando la strage è finita arriva la polizia militare americana che, insieme ai Reali Carabinieri, a stento riesce a sottrarre i celerini e gli attivisti comunisti alla collera popolare. Alla fine della tragica giornata di sangue, si conteranno, oltre i morti circa 50 feriti gravi. Tra questi ultimi, tutti colpiti da armi da fuoco, Gerardo Bianchi di 15 anni, Alberto De Rosa di 17, Gianni Di Stasio di 14, Antonio Mariano di 12, Giovanni Vibrano di 11, Raffaele Palmisano di 10 e Tino Zelata di 8. Gli altri feriti avevano in media 20-30 anni.
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Ecco, in estrema sintesi, quello che oggi tanti coglioni italici commemorano: un colpo di Stato che sancì la nascita di un regime abusivo, messo al potere dalle baionette straniere.
E ricordino questi fatti anche i tanti sottoculturati del Sud Italia, i quali spesso scrivono cretinate contro l’Italia dei Savoia e manifestano nostaglie Borboniche.
Il Sud Italia è sempre stato fedele alla Monarchia Sabauda, e solo in anni recenti sono spuntati da chissà quale sepolcro quegli idioti che raccontano una Storia diversa.
Carlo Gariglio